Cardinale Fabrizio Ruffo

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Fabrizio Dionigi Ruffo dei duchi di Bagnara e Baranello, nacque a San Lucido, attuale provincia di Cosenza, il 16 settembre 1744, secondogenito di Litterio Ruffo, duca di Bagnara e Baranello, e della sua seconda moglie Giustiniana Colonna, principessa di Spinoso e marchesa di Guardia Perticara.
Preso a ben volere dallo zio Tommaso Ruffo, decano del Sacro Collegio, ebbe come precettore Giovanni Angelo Braschi, futuro papa Pio VI. Nel 1748 iniziò a Roma la carriera ecclesiastica, studiò presso il Collegio Clementino per poi passare all’Università La Sapienza dove fece carriera grazie all’aiuto dello zio che lo portò, nel 1764, a svolgere la funzione di prelato domestico presso Pio VI. Nel 1767 entrò nella prelatura romana come referendario dei tribunali della Signatura Apostolica di Grazia e Giustizia e contemporaneamente ottenne il dottorato in utroque iure presso l’Università La Sapienza. Fu tesoriere generale della Camera Apostolica (1785), prefetto di Castel Sant’Angelo e commissario delle fortificazioni marittime dello Stato Pontificio. Uomo di fiducia del Papa, Ruffo ebbe il compito di portare avanti una politica di riforme finanziarie, fiscali ed economiche a favore del libero mercato e contro il vincolismo economico. Queste riforme avrebbero messo in crisi gli equilibri sociali e gli antichi privilegi dell’aristocrazia causando il malcontento della nobiltà, che costrinse Pio VI a destituire l’allora monsignor Ruffo, dandogli però in cambio il cardinalato come premio per la sua efficienza. Un crescente clima di ostilità nei suoi confronti costrinse Ruffo ad allontanarsi da Roma e trasferirsi a Napoli dove divenne amico intimo e consigliere del re del Regno delle Due Sicilie Ferdinando I, che lo nominò soprintendente dei Reali Domini di Caserta e della colonia manifatturiera di San Leucio.
Nel 1799, in seguito alla proclamazione della Repubblica Napoletana, il re decise di abbandonare Napoli, lasciando la città nelle mani degli insorti e contravvenendo a quelli che erano i consigli di Ruffo. Il cardinale decise allora di intervenire: si recò a Palermo, dove si era rifugiato Ferdinando, ed ottenne da lui il permesso di metter su un esercito per riprendre il regno. I regnanti non volevano però rimetterci alcuna risorsa finanziaria in caso di disfatta, quindi si limitarono a fornirgli una nave, sette uomini e gli diedero il titolo di Comandante Generale. Una volta giunto in Calabria, Ruffo richiamò volontari disposti a formare l’ Armata Cristiana e Reale della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo, un esercito per la liberazione del regno che arrivò a contare circa 25000 unità fra italiani, austriaci e russi. Le truppe Sanfediste, composte principalmente da volontari e non da soldati, si lasciarono andare spesso a saccheggi e devastazioni. Il cardinale e il suo esercito arrivarono a Napoli il 15 giugno 1799. La  corte inviò ordini scritti a Ruffo nei quali si invitava il cardinale a non stipulare patti a favore dei francesi e dei rivoluzionari partenopei.  Ruffo però, da esperto diplomatico, sapeva quanto fosse importante mantenere dei rapporti con i francesi e decise di iniziare le trattative per una pacificazione generale. Per evitare che potessero arrivare da Palermo ordini contrari, il cardinale cominciò a sottoscrivere i patti per la capitolazione francese senza informarne la corte, in modo da fornire ai giacobini ed ai filo-francesi la possibilità di scappare dal tegno evitando qualsiasi tipo di vendetta. I suoi piani, però, non riuscirono poiché il 24 giugno 1799 giunse a Napoli l’ammiraglio Nelson, uomo di fiducia della regina, che non solo considerò nulle le trattative fra i francesi e Ruffo, ma decise di condannare a morte tutti coloro che in qualche modo avevano avuto a che fare con la Repubblica Napoletana.
Così descrive i fatti lo storico Pietro Colletta nella sua "Storia del Reame di Napoli", pubblicata postuma da Capponi nel 1834: " [...] I vincitori correvano sopra ai vinti: chi non era guerriero della Santa Fede, o plebeo, incontrato, era ucciso; quindi le piazze e le strade bruttate di cadaveri e di sangue; gli onesti, fuggitivi o nascosti; i ribaldi, armati ed audaci; risse tra questi per gara di vendette o di guadagni; grida, lamenti: chiuso il foro, vote le chiese, le vie deserte o popolate a tumulto [...]".
Nel 1821 Ruffo tornò a Napoli dopo aver ricoperto vari incarichi a Roma e a Parigi, quando la città era funestata dalle rivolte contro l’esercito austriaco occupante. Il 7 giugno dello stesso anno, durante i moti carbonari, venne nominato dal re di Napoli  membro del consiglio per il governo provvisorio e divenne consigliere del sovrano anche dopo la piena restaurazione del governo Borbonico. Il Cardinale Ruffo morì a Napoli il 13 dicembre del 1827 e fu sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di San Domenico Maggiore.

Consultabile online: Memorie storiche sulla vita del cardinale Fabrizio Ruffo