Macchina del Piaggio

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I papiri ercolanesi costituiscono un patrimonio dal valore inestimabile in quanto sono il fondo librario più antico posseduto dalle biblioteche italiane e straniere, anche se inizialmente furono scambiati per semplici pezzi di carbone. Essi infatti sono molto simili a pezzi di legno bruciato e proprio lo stato di carbonizzazione ha reso la materia estremamente delicata, col rischio di frantumabilità e di perdite irreparabili. Fu solo grazie a Camillo Paderni, che, intravedendo su di essi delle lettere greche, capì che si trattava di antichi manoscritti. Da quel momento diverse e varie sono state le tecniche utilizzate per cercare per poter realizzare un recupero testuale, ma molti dei materiali adottati hanno finito per distruggerli completamente. Si provò ad ammorbidirne le fibre sottoporre i papiri all'azione del vapore acqueo, o a porli sotto campane di vetro, come fece il filologo Alessio Simmaco Mazzocchi, sperando che l'azione dei raggi ultravioletti del sole potesse determinare lo scrollamneto dei vari strati. Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, provò ad utilizzare il mercurio ma non vi furono risultati soddisfacenti, fino a quando nel 1753 Carlo III di Borbone chiamò da Roma un frate scolopio, l'Abate Antonio Piaggio, che essendo bravo a trattare i materiali creò una macchina in grado di poter srotoloare il papiro senza danneggiarlo e rimasta in uso fino al 1906.
Questa macchina, risalente al XIX secolo, fu costruita secondo le sue indicazioni e funzionava grazie ad un sistema di fili e carrucole: nella parte inferiore veniva posizionato il papiro su un'apposita lunetta metallica di forma concava. Preventivamente esso veniva ricoperto da una colla, la cui composizione era stata ideata dallo stesso abate, che consentiva di applicare sul reperto una pellicola di budello animale. Quest'ultima garantiva un vero e proprio rinforzo al papiro oltre a consentire anche maggiore tranquillità nel manipolarlo e srotolarlo evitandone totalmente o parzialmente la frantumazione. Il papiro veniva successivamente collegato alla parte superiore della macchina tramite fili di seta incollati al retro del reperto, e attraverso piccole carrucole di metallo, azionate da chiavi metalliche, era possibile srotolarlo.
Una volta svolto il reperto vi erano numerose difficoltà da affrontare come, ad esempio, il recupero del testo che si presentava lacunoso o acefalo in più punti e proprio per tale motivo questo lavoro fu assegnato ai migliori filologi del Regno di Napoli.